Progetto Speranza tra utopia ed impegno da Roger Garaudy a Renzi.
domenica 23 marzo 2014 
Tentare di cambiare il mondo e la vita. In Italia ferve il dibattito sul
 cambiamento. Matteo Renzi è il Premier e leader del PD; un partito che 
comprende l’eredità comunista e cattolica. Il suo controverso tentativo 
di riformare la politica italiana ci riporta ad un’altra figura tra 
cattolicesimo e comunismo, il filosofo francese Roger Garaudy scomparso 
nel 2012.
Il momento attuale in Italia è molto delicato. Il nuovo Premier Matteo 
Renzi, pur contestato da più parti per la rapidità con cui ha improntato
 il suo iter e bruciato molte tappe, sta provando a mettere a punto un  
piano di lavoro e di rilancio dell’economia e della politica che 
dovrebbe dar fiato all’asfittica stasi in cui è ricaduta la nazione per 
via della crisi che pur interessa vari paesi dell’Europa.
Il suo programma potrebbe essere definito “Progetto Speranza” con un titolo molto significativo e bene augurante. Lo stesso d’un libro che ho letto alcuni anni fa e che ricordo molto bene d’un filosofo francese Roger Garaudy: Projet Espérance, con il titolo originale francese, pubblicato da Laffont, Paris.


Questo, insieme ad un altro testo sulla stessa lunghezza d’onda dell’autore: L’Alternative,
 sono stati tradotti in italiano e pubblicati da Cittadella, Assisi, tra
 la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, erano e sono, più
 che altro, appelli alla società civile, perché “la vita avesse uno 
scopo, la nostra storia un senso, perchè venissero bloccate le 
catastrofiche spinte d’inerzia delle nostre società per ricostruire il 
tessuto sociale.”
Così era detto nella presentazione.
Così era detto nella presentazione.
Erano gli anni dell’iniziale destabilizzazione sociale: si manifestavano
 malcontento e  ribellione in molte  sfere, continuava il fenomeno del 
terrorismo da cui derivarono tanti lutti e rovine e lo scoramento 
generale. Si pensava di arrestare con nuove ideologie la deriva che 
sembrava vicina. Roger Garaudy era poco noto in Italia, ma negli 
ambienti cattolici, che allora frequentavo, era considerato un 
interprete intelligente del Concilio Vaticano II, che tanto aveva fatto 
sperare. Egli era intenzionato a cercare un dialogo tra cattolici e 
marxisti per rinnovare la società ed era riuscito ad attrarre 
l’attenzione delle giovani generazioni, perché, al di là delle solite 
astrazioni che apparivano inutili, parlava di fatti concreti e additava,
 imboccando la strada della responsabilità e dell’autocoscienza, un 
nuovo modo di rapportarsi agli altri con razionalità, consapevolezza e 
giustizia sempre attese. Diceva, in modo autorevole, d’una possibile 
svolta necessaria per la salvezza: “Volete anche voi con migliaia di altri, le cui mani si cercano, creare le prime cellule viventi del nuovo tessuto sociale?”
Avevo allora visualizzato con la mente, una catena umana che interveniva
 a salvare l’umanità derelitta e m’ero ripromessa di farne parte. 
Ammoniva di prendere coscienza del vicolo cieco: « poiché se ci 
abbandoniamo alle catastrofiche chine del nostro tempo, di qui a 
trent’anni l’uomo e l’ambiente saranno disintegrati. Allora, non sarà 
più tempo di vivere. Tutt’al più di sopravvivere ».
Prendere coscienza significava cambiare il concetto stesso di politica, 
smettere di credere in qualche ricetta magica che potesse portarci la 
salvezza dal di fuori, senza la partecipazione personale. Tutte premesse
 giuste a fondamento della sua filosofia d’un socialismo partecipativo, 
cioè dell’assimilazione dei principi fondamentali di umanesimo e 
marxismo, che erano però tradizionalmente in versanti divisi e 
antitetici. Garaudy proponeva il superamento degli steccati che dividono
 i popoli ed un riavvicinamento delle religioni tra loro, 
un’integrazione conciliativa delle opposte tendenze politiche. 
Aveva visto bene guardando il futuro, che oggi è il nostro presente 
minacciato da una ben più grave disintegrazione delle sue strutture 
portanti, e aveva combattuto l’idea di  una vita che, se non è più 
pienezza di pensieri, sentimenti ed azioni, vissuta nelle condizioni 
migliori, potrebbe divenire, invece, una pura “sopravvivenza”. I 
suoi discorsi non erano solo consigli, ma lezioni puntuali su come 
cambiare l’economia, la politica, la cultura, l’educazione, che sono i 
cardini di una società, partendo proprio dalla convinzione che occorre 
un cambiamento prima interiore di illuminazione della coscienza e di 
vocazione alla consapevolezza del proprio essere e degli altri, per poi 
passare all’azione, secondo lo slogan : “L’uomo è in quanto agisce”.
 Aveva meditato sul Concilio Vaticano II e s’era convinto della 
necessità del dialogo tra cattolici e marxisti, tra laici e cattolici, 
tra le diverse fedi, per trasformare l’inerzia in marcia della pace e di
 concordia fraterna per un progresso reale. Quest’ultima parte del suo 
discorso sembra riecheggiare nelle parole dell’attuale Papa Francesco.
Che cosa allora è mancato perché la sua teoria divenisse realtà?
Si potrebbe rispondere: che i tempi allora non erano maturi, ma sarebbe 
una giustificazione troppo facile e scontata. In effetti, il suo disegno
 in fondo è apparso utopistico; presupponendo infatti, una società 
sensibile all’educazione del nuovo, una società non interessata solo al 
profitto e al dio denaro ed all’individuale ristretto benessere, ma 
protesa al bene di tutti, partecipe e dedita ad azioni promozionali sia 
in economia che in tutti gli altri campi, in una sorta di democrazia 
diretta, secondo un progetto che aveva in comune i fini e l’autogestione
 dei mezzi.
Per essere così,  egli proponeva che si formassero gruppi di persone 
responsabili per garantire all’interno di ogni paese non l’azione di uno
 solo, considerato un primus inter pares, ma il concorso di tutti, 
attraverso la lotta alla burocrazia, senza manipolazione e conquista, ma
 con comprensione e libera partecipazione:  “La nuova sapienza 
studierà allora l’oggetto secondo il concetto che esprime, il soggetto 
secondo l’amore, il progetto con slancio creativo”. Semplice e 
lineare  allora m’appariva il suo ragionamento ; se solo si riuscisse a 
far capire che ognuno di noi ha un compito da svolgere in armonia con 
gli altri, se vuole che la vita abbia valore, allora  lavorare, 
istruirsi, governare, agire non rappresentano più doveri coercitivi, 
pesi assurdi, visti come una perdita di tempo o mortificazioni  da cui 
evadere, ma  contributi spontanei che arricchiscono la nostra 
intelligenza, non servigi dovuti, ma libere attività di 
compartecipazione a quel “motore della storia” che ci interessa perché 
ci appartiene.

Ma i suoi appelli sono caduti nel vuoto. Il cammino di perfezionamento 
dell’essere evidentemente apparve troppo arduo e difficile mentre si 
programmava di arrivare al benessere concreto, ma non ad una diversa 
qualità della vita, attraverso la violenza, l’ipocrisia e la 
sopraffazione degli uni sugli altri.
Perchè oggi mi sembra di sentire echeggiare le sue esortazioni? Forse 
perché c’è più che mai l’esigenza del cambiamento e la voglia d’un agire
 responsabile e generoso?
Roger Garaudy, che aveva combattuto negli anni 39-40 sul fronte 
popolare, in Francia, ottenendo una Croce di guerra, scrisse ben 
cinquanta volumi, insegnò all’Università di Clermont-Ferrant  e poi a 
quella di Poitiers. Costituì a Cordova, dove dimorò per qualche tempo, 
una Fondazione di studi storici che porta ancora il suo nome. Fece 
l’esperienza della  politica  come deputato e senatore  e dal ’59 al ’62
 fu il filosofo ufficiale del Partito Comunista Francese, nel quale era 
entrato nel ’33. Si è spento nel giugno del 2012, a 98 anni d’età, a 
Chennevières -sur-Marne, nei pressi di Parigi.
Di lui si può dir tutto, anche che sia stato scomodo e che è da 
condannare per alcuni aspetti eccessivi della sua vicenda di vita, ma 
non si può assolutamente dire che sia da dimenticare.
Il suo fu uno dei numerosi tentativi di cambiare il mondo!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
